Dal 6° Caffè i primi risultati dei lavori del Gruppo sulla Cittadinanza Digitale


 Il “Caffè della responsabilità” è un’occasione d’incontro e di discussione che prende l’avvio da una frase di Adriano Olivetti; con il 6° appuntamento, il Forum Permanente della Responsabilità Sociale nel Mediterraneo ha dato spazio al gruppo di lavoro sulla Cittadinanza digitale che ha promosso il tema della TRASFORMAZIONE DIGITALE DEL CONCETTO DI RESPONSABILITÀ. La frase scelta è tratta dal discorso di Adriano Olivetti per l’inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli, avvenuta il 23 aprile 1955: 

… La nostra società crede perciò nei valori spirituali, nei valori della scienza, crede nei valori dell'arte, crede nei valori della cultura, crede, infine, che gli ideali di giustizia non possano essere estraniati dalle contese ancora ineliminate tra capitale e lavoro. Crede soprattutto nell'uomo, nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto.

Questo stabilimento (di Pozzuoli) riassume le attività e il fervore che animano la fabbrica di Ivrea. Abbiamo voluto ricordare nel suo rigore razionalista, nella sua organizzazione, nella ripetizione esatta dei suoi servizi culturali ed assistenziali, l'assoluta indissolubile unità che la lega ad essa e ad una tecnica che noi vogliamo al servizio dell'uomo onde questi, lungi dall'esserne schiavo, ne sia accompagnato verso mete più alte, mete che nessuno oserà prefissare perché sono destinate dalla Provvidenza di Dio …

A condurre i lavori, Valerio Teta, Presidente del Comitato AICQ per la Qualità del Software e dei Servizi IT e promotore  insieme a Bruno Esposito del tavolo di lavoro, in seno al Forum Permanente della Responsabilità Sociale nel Mediterraneo, sulla Cittadinanza Digitale.


Valerio Teta: "Diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per le nostre doti, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla loro statura.

Non senza emozione, noi qui ed ora proviamo a salire sulle spalle di Adriano Olivetti per vedere meglio i fatti di una tecnica (la tecnologia digitale) che sembra un destino (necessario, oggettivo, incalzante, neutrale, ineluttabile) cui sottostare, che promette servizi gratuiti in cambio di una rassegnata rinunzia alla privacy, che trasforma le relazioni sociali senza confronti e conflitti, che ci rassicura attraverso la potenza della connessione purché le nostre azioni rispettino i nuovi vincoli, relativamente facili da rispettare nella pratica e relativamente difficili da interpretare nelle conseguenze esistenziali. Il nostro amato gigante non soltanto può aiutarci a vedere meglio tutti i fatti ma soprattutto può darci sostegno per interpretarli, per coglierne significati e implicazioni, per scrollare dalle nostre spalle il pesante mito del destino, per scegliere – decidere – governare. Lungi dal diventare schiavi della tecnologia digitale, noi possiamo accompagnarci con l’interpretazione umanistica di Adriano verso il presidio di nuovi spazi di cittadinanza digitale e verso nuove mete di libertà.

Partiamo dall’impresa (fabbrica, stabilimento) dal suo rigore razionalista e dalla sua organizzazione. Oggi la trasformazione digitale (con la sua tecnica capace di superarsi continuamente, con la potenza dei suoi algoritmi) è per pochi, per molti o per tutti?

Luca Carbonelli: "quello che in tanti argomentando spontaneamente definiscono <<il problema del digitale>>, in realtà è un non problema. E non è neanche giusto definirlo un'opportunità. Oggi il digitale per gli uomini è una necessità. Il ritorno dell'uomo al centro della scena come attore in grado di padroneggiare gli ambiti in cui si muove, compreso il digitale quindi, è una necessità. Possiamo essere noi i decisori del progresso. Imporre il confine tra uomo e macchina. Programmare gli algoritmi in modo da renderli soltanto utili e non pericolosi. Il vero pericolo è la cattiva informazione che le persone hanno delle nuove tecnologie e la scarsa attitudine al loro utilizzo. Occorre che tutti noi facciamo uno sforzo comune per redigere una carta dei valori dell'uomo digitale. Imporre un'etica dei processi grazie a cui, dagli stessi processi e progressi potremo solo beneficiare."

Dall’imprenditore al manager, dalla visione all’azione e soprattutto alla gestione dell’innovazione che diventa concreta opzione di successo attraverso programmazione e controllo. Quale ruolo gioca il manager nella trasformazione digitale dell’impresa? Quali saperi e abilità caratterizzeranno il nuovo ruolo?

Luigi Bianco: "Se da una lato INDUSTRY 4.0 manca ancora una definizione chiara , facendola apparire oggi più una Vision che una realtà,  dall’altro non possiamo non sforzarci di riflettere su di essa e sui profondi cambiamenti che essa richiede e provocherà, in un quadro di generale incertezza del sistema economico e sociale. Possiamo, infatti , immaginarla come uno sgabello a tre gambe costruito  su una gamba Tecnologica, una Politica ed una Economica, che poggiano tutte  sul piano della società, che solo se fortemente alimentato da un diffuso senso di responsabilità sociale, costruito collettivamente sulle singole dimensioni di cittadinanza digitale, può reggerne il peso e l’impatto in equilibrio.  E  difatti negli incerti scenari possibili (Uomini asserviti alle macchine, o viceversa, oppure sistemi fortemente collaborativi ed iterativi Uomini-Macchine) anche il Management di Impresa e’ pienamente investito di questa responsabilità. Responsabilità che non e’ solo nella dimensione tecnologica-economica (disruptive innovation e shift di paradigma) ma anche nella sua capacità  manageriale  di realizzare il giusto contemperamento di interessi tra i diversi stakeholder,  sia all’interno che all’esterno dell’impresa."

Riprendiamo la metafora dello sgabello con tre gambe poggiato sul piano della società. Un piano che deve possedere consistenza ed equilibrio per sostenere il gravoso impegno della trasformazione digitale delle imprese e delle organizzazioni. Un ambiente sociale – scientifico – tecnologico – culturale dove agiscono Scuole, Università e Centri di ricerca e dove giocano un ruolo fondamentale gli esperti. Chi meglio dell’ingegnere (esperto tecnologo) può interpretare il ruolo di mediatore della nuova cultura digitale, di promotore dell’utenza innovativa e responsabile, di facilitatore dell’incontro tra domanda e offerta di tecnologia? Cosa sta facendo e cosa farà l’Ordine come comunità degli esperti per la trasformazione del ruolo dell’ingegnere?

Giovanni Esposito: "Assistiamo al trionfo della tecnica, del saper fare. La nostra società è ormai 'plasmata' dalla tecnologia. L’innovazione genera una gran varietà di scenari futuri possibili. E’ compito della “Politica”, a livello collettivo, e dell’etica, a livello aggregativo ed individuale, orientare l’innovazione a favore della comunità, per tendere ad un ideale di benessere sociale il più ampio possibile.  Ma non è così, e lo dico con disappunto. Sicuramente a livello della “Politica”, ma anche a livello aggregativo ed individuale. Con la tecnica imperante, l’etica non riesce ad essere incisiva nei confronti della tecnica. La tecnica ormai ha come fini quelli derivanti dai suoi precedenti risultati e non quelli derivanti dai valori dell’etica. Ritengo pertanto importante che in questo momento cultura tecnologica e cultura umanistica si riavvicinino, contaminandosi vicendevolmente. C’è di nuovo bisogno di fornire alla tecnica una visione umanistica ed antropocentrica. Dal punto di vista professionale, gli ordini, ed in particolare gli ordini degli ingegneri, che per definizione tutelano la collettività, anche se la collettività li percepisce come difensori del monopolio e dell’inefficienza, hanno innanzi una sfida notevole: Promuovere una professione dell’ingegneria coerente con il progresso delle scienze e delle tecnologie, rispondente necessità della società, favorendo la formazione continua di ingegneri scientificamente e  tecnicamente competenti ed eticamente sensibili (riadattato da COPI del 2011). Ingegneri che abbiano la consapevolezza che la tecnologia non è indipendente dai valori. Che abbiano la consapevolezza che le regole del mercato da un lato ed il managerialismo burocratico dall’altro sono forze che condizionano il loro pensiero critico ed il loro agire professionale e sono ostative ad un comportamento etico. Che abbiano la consapevolezza che l’innovazione sia gestionale ovvero contemporaneamente tecnologica, organizzativa (processi) e culturale (relativa alle persone ed ai loro valori) e che deve esserci una notevole coerenza tra i tre aspetti. Con specifico riferimento alla digitalizzazione, infine, è necessario che gli ingegneri dell’informazione siano consapevoli che:

  • >>la stessa ha provocato, in tempi estremamente contenuti, accentuate posizioni monopolistiche e sta creando notevoli problematiche sociali (penso alle piattaforme digitali, ai loro algoritmi discriminanti e poco trasparenti, al trasferimento dei rischi ad un inconsapevole utente, al drenaggio, ancora non regolamentato, di tante  informazioni relative alle relazioni tra gli individui ed i luoghi, gli eventi, gli oggetti smart, ..);
  • >>l’utilizzo dell’interoperabilità e delle tecnologie open possono mitigare le precedenti problematiche;
  • >>gli algoritmi, da loro progettati e realizzati, non sono neutrali e condizionano la vita di noi tutti".

 

I tempi incalzanti del cambiamento tecnologico stanno diventando un fattore sempre più critico dello sviluppo economico e del progresso sociale. Senza inutili giri di parole dobbiamo riconoscere il nostro ritardo e le relative conseguenze come la mitizzazione del “nuovo” diventato di moda e considerato buono a prescindere. Una parola chiave usata e abusata è SMART: Smart cities, smart home, smart car … Cosa significa smart? Chi è veramente smart?

Francesco Violi: "SMART CITY -l’espressione Smart City usata per la prima volta da due grandi multinazionali (IBM, Cisco) negli anni ’90 identificava sostanzialmente una città ideale imperniata sull’ICT cioè una città che ora chiameremmo digitale. La Comunità scientifica Europea attraverso il Politecnico di Vienna e l’Università di Lubiana negli anni successivi stabilì che poteva essere definita Smart City una città che perseguisse il suo miglioramento su sei assi strategici:

1. Smart economy,               2.Smart people,

3. Smart government,         4.Smart environment,

5. Smart mobilty,                  6. Smart living.

Con tale definizione vengono introdotti elementi come il capitale umano e sociale, il coinvolgimento dei cittadini nella governance, il miglioramento della qualità della vita cioè un’integrazione fra aspetti tangibili e non. Anche con questi nuovi elementi la realizzazione di una Smart City presenta da una parte vari rischi da governare con molta attenzione e dall’altra l’irrinunciabile necessità costituita dall’assunzione di un ruolo attivo e progettuale (non sussidiario)  da parte del settore pubblico".

Allora in una città smart non trova campo libero un fenomeno di uberizzazione dei servizi al cittadino. È possibile governare un cambiamento (come Uber) che travolge i modelli di business e le relazioni sociali?

Bruno Esposito: "Alla domanda sui rischi di “Uberizzazione” si può rispondere ritornando alla frase di Adriano Olivetti “…che.. lega…. ad una tecnica che noi vogliamo al servizio dell’uomo, onde questi, lungi dall’essere schiavo, ne sia accompagnato verso mete più alte….”. La tecnica e le tecnologie sono strumenti a disposizione dell’essere umano per poter migliorare le sue condizioni di vita e più comprensibilmente il suo benessere. Partendo da questa considerazione, quindi, la trasformazione digitale deve essere concepita come un fenomeno positivo, se si comprende che è necessaria una consapevolezza diffusa del ruolo e degli impatti di tale trasformazione e si opera culturalmente e praticamente per il suo efficace governo. Questo richiede che le basi tecnologiche e le piattaforme ad ampia diffusione sociale siano considerate un bene comune  e quindi come tale assoggettato ai principi di trasparenza, di diritto di accesso e uso, di controllo partecipato. In conclusione si parla del ruolo della cittadinanza attiva, consapevole e in grado di governare i processi di cambiamento, allineando i tempi del diritto a quelli della trasformazione".

Noi, gruppo di lavoro sulla Cittadinanza digitale, ci crediamo. Crediamo nell’incontro di oggi, nella costruzione della comunità digitale. La trasformazione digitale è una sfida da raccogliere con la necessaria consapevolezza delle minacce da cui proteggersi e con la determinazione di sfruttare tutte le opportunità utili al progresso. Possiamo vincere la nostra corsa tecnologica se decidiamo di correre con responsabilità.